Titolo: ROBERTA SERENARI Autore: Vladimiro Zocca Apparso su: Catalogo mostra del 20 Maggio 1998
Depurati interni sospesi nel silenzio, abitati da misteriose presenze femminili che evanescenti fisionomie estraniano nel sonno.
Presenze che affondano nel sonno – sogno di una ragione lontanata nel tempo dell’infanzia, forse.
Roberta, attraverso velature successive di colorati olii trasparenti, ferma sullo schermo del sogno immagini che scorrono nel tempo del ricordo.
Efficacia fascinatrice del sogno fissato dal sonno che condensa stati interiori della femminilità su sfondi toccati dal silenzio.
E’ una geometria del silenzio che anima spazi scanditi dalla luce dell’apparenza.
Una luce immobile, misteriosa, quasi irreale nella sua morbida fisicità.
Roberta abbandona sulla tela una gestualità incantata, a rintracciare, laggiù, nel profondo dell’infanzia, sparse sensazioni di oggetti vissuti e disposti sulla tela con un metafisico nitore compositivo.
Oggetti teneramente inquietanti filtrati da sensi femminili.
Oggetti della mascolinità vissuta come problema originario dell’essere donna e come elemento ambivalente della propria vicenda umana.
Il ricorrente cappello a bombetta, le cravatte.
Ma, soprattutto, oggetti – indizi della femminilità legata alla temperie materna dell’infanzia.
La bambola, il manichino da sartoria, la gruccia, l’uovo da rammendo, pezze di stoffa e, poi, rose scarlatte, sandali rossi, calze rosse, il nastrino rosso a raccogliere i capelli biondi di una bambina, il fiocco rosso che spicca su un nero cappottino.
Il colore rosso come elemento variabile, cangiante, polisenso della personalità femminile.
Il rosso rivelatore della femminilità che si afferma nella consapevole sensualità del corpo vivo.
Il rosso evocatore di un impalpabile pericolo che incombe indefinito sull’esistere di bambina, di fanciulla, di donna.
Rossa è la linea surreale, tracciata davanti ad una rosa, che divide il mondo incantato della fanciullezza dall’ingresso, carico di trepide attese, nel mondo delle donne che forse scoprono l’amore, forse si sposano, forse vivono la maternità.
La frequentazione attiva di cose care apre sulla tela un orizzonte ontologico della femminilità.
Roberta ci invita ad entrare nei misteri del corpo femminile attraverso la luce irreale di interni rarefatti che raccontano oggetti.
Oggetti che si evidenziano come oggettualità del vestire, come emozione del vestire espresso dal corpo di donna nel suo intimo evolversi biologico.
I vestimenti e gli strumenti del vestire, che hanno nutrito di visivi segni affettivi l’infanzia dell’artista, trascendono il corpo in storie di dentro dell’essere femmina.
Abbigliamenti apparentemente neutri, identificati nelle mode di un tempo indefinito dove l’infanzia, l’adolescenza e l’adultità sono stratificate in un “continuum” di genere.
E’ un dipingere se stessa guardando nello specchio ideale della sua identità di donna in arte, a cogliere riflessi figuratori del presente – passato e del passato – presente.
Roberta vuole vedere oltre lo specchio posto tra il sogno e la realtà.
Lo specchio della curiosità femminile alla scoperta innocente della vita.
Allora sposta la pareti del silenzio, distanziando la realtà oltre i limiti della propria corporeità, verso uno spazio ulteriore, dove esistono gli oggetti del suo essere.
La parete sfumata dai colori della luce contro la quale è accucciata la bambina, è nettamente delimitata da un nebuloso vuoto blu intriso di buio profondo, che lascia intravedere una traccia oggettuale della memoria, una sedia d’epoca con un cuscino damascato di viola.
La parete oltre la parete come campitura spaziale della propria esistenza.
Campitura che consolida il riferimento geometrico delle pareti con il movimento ritmato del pavimento a scacchi.
Scacchiera come immagine metafisica dell’incerto.
Scacchi di luce e di ombra nelle vibrazioni cromatiche del giallo, dell’azzurro, del verde, del rosso, del viola, danno il senso del gioco della vita che fluisce nell’alternarsi di istanti felici e di momenti dolorosi.
IL motivo è oggettivato dalle oblique strisce bicolori di una cravatta stile “regimental” o di un tessuto di seta.
Luci ed ombre.
Ma l’ombra sorregge le presenze corporee e dà senso alla figurazione.
Ombra che parla, ombra che dice, ombra che dà vita.
Ombra che contrasta la luce sul volto delle bambine e delle fanciulle.
Bipolarità di ombreggiatura e di luminosità, come la luna – femmina, dalle due facce.
L’ombra viene dall’altra faccia della luna, ammantata dalla notte.
Dalla notte viene il sogno che, a volte, parla della parte indicibile della femminilità.
Il sogno rammemora e fa immagini che il sonno tenta di fermare nel loro svanire sulla tela.
Allora i colori sono pennellati in trasparenti sfumature vibranti di luce.
Colori primari, non canonici, riflessi immediati di intimi sensi vitali.
Colori pregnanti, intensi di luminosità, con i quali Roberta fonde simbolismo e naturalismo, rivisitando con un gusto attuale venato di un personalissimo intimismo, la più pura linea realistico – magica del primo Novecento italiano.
Il tipico dettato plastico, tornito a tempi lenti, si risolve in forme quasi classiche, che risentono delle inquietudini di una femminilità vissuta con un lieve accento visionario da secessione viennese.
IL delicato simbolismo di derivazione casoratiana predispone gli spazi architettonici degli interni ad un’atmosfera tra insolita e familiare, nella quale situare presenze spaesanti di figure femminili.
Le corporee figure di Roberta sono poste in interni situazionali che offrono sulla tela coordinate sensibili, ad aprire un valore spaziale dell’anima, non oggettivo, orientato dal corpo.
Stare con il corpo su una sedia, su una poltrona, condensa plasticamente le figure e lo spazio in linee, forme e colori che fissano plastici momenti del tempo interno dell’artista.
Tempo interno dell’anima che si risolve nella magica nostalgia visionaria di donne assopite nel tempo esternato dello spazio.
Donne che aspettano il sogno, forse.